MUSICANTUS ENSEMBLE
Soprani I: Paola Morello, Marisa Salgarella, Maria Serena
Soprani II: Resi Fontana, Elena Piccinin, Lucia Valentini
Altus I: Chiara Coan, Cinzia Del Fra, Laura Cadelli
Altus II: Marylene Capraro, Roberta Iop, Moreno Siega Brussatin
Tenori: Giancarlo Langero, Vanni Mazzer, Fabio Noal
Bassi: Marco Fontanive, Stefano Giusti, Ugo Zoppas
DIRETTORE GIORGIO SUSANA
PROGRAMMA
M. Duruflé (1902 — 1986)
Notre Pére
G.P. da Palestrina (1525 — 1594)
Kyrie eleison
Gloria in excelsis Deo
Credo in unum Deum (*)
A. Bruckner (1824 — 1896)
Locus iste
G.P. da Palestrina (1525 — 1594)
Sanctus ()*
Benedictus ()*
Agnus Dei I
Agnus Dei II ()*
A. Bruckner (1824 — 1896)
Os justi
I. Antognini (1963 – …)
O filii et filiae
(*) Missa Ut Re Mi Fa Sol La, a 6 voci,
Prima pubblicazione 1570, Missarum Liber tertius, n° 8
Tra poco sarebbe arrivata la primavera e le serate cominciavano a intiepidirsi. Camminando lungo il Tevere, per tornare a casa, Giovanni era pensieroso.
Andava per i quarantacinque ed era ormai riconosciuto come un caposcuola, uno dei più grandi compositori. Si parlava già di uno stile “alla Palestrina”. La sua fama aveva superato i confini di Roma: il duca di Mantova gli aveva richiesto composizioni, l’ambasciatore austriaco gli proponeva un ingaggio a Vienna.
Eppure, a Roma non si sentiva valorizzato. Giulio III, lui sì che aveva avuto considerazione per il suo compositore, fino a farlo entrare senza concorso nella sua cappella. Ma poi, dopo il breve regno di Marcello II, Paolo IV aveva applicato rigidamente i regolamenti: in quanto coniugato, non poteva restare al servizio del Papa ed era stato licenziato.
S’era rifatto con altri incarichi ed era in predicato di diventare maestro della Cappella Giulia, appena Animuccia avesse lasciato libero il posto: non era come guidare la Sistina, ma l’incarico era comunque onorevole e ben retribuito.
Non aveva pubblicato tantissimo, fino a quel momento, ma quanto bastava per rafforzarne la fama: due libri di messe, un libro di mottetti, uno di madrigali, che forse aveva contribuito a fargli perdere il posto alla cappella papale. Adesso, mentre si approssimava la primavera del 1570, aveva pronto un terzo libro di messe. Sette composizioni inedite: alcune nuove, come la Missa Brevis a quattro voci. Ne era soddisfatto perché in quella composizione, modesta anche nel nome, gli sembrava di aver confermato gli esiti del suo capolavoro di quindici anni prima, la Papae Marcelli.
Altre erano composizioni precedenti, lavori di gioventù, come la Missa L’Homme Armé: l’avrebbe pubblicata così, con quel titolo. E al diavolo i censori, che in ossequio ai decreti papali avrebbero protestato per l’uso di un tema profano. Animuccia e tutta la pletora dei musicisti di secondo piano che trafficavano all’oratorio di quel Filippo Neri usavano pure i canti profani per le loro canzoncine, le laudi, con tanto di “Cantasi come…”: e altro che Homme Armé! Lì si cantava Lodate Dio sulla musica dei canti carnascialeschi: Ben venga maggio, con quel che segue.
E poi c’era quella messa a sei voci.
L’aveva scritta tanti anni prima, non ricordava nemmeno lui quando. Uno dei suoi primi lavori, quando di stile palestriniano non si parlava perché lui era poco più che un allievo. S’era ispirato allo stile fiammingo, in voga quando era ragazzo. Una cosa tra Isaac e Josquin, a sei voci come la Papae Marcelli, ma lontana da quella, nello stile.
Una messa su tenor, come ormai non si usa più, al giorno d’oggi. E per di più, non utilizzando come tenor un canto gregoriano o l’incipit di un mottetto famoso, ma semplicemente l’esacordo, la scala musicale così come si trae dall’inno a San Giovanni: Ut re mi fa sol la.
Inserirla o no, nella nuova raccolta?
Si sentiva che era uno stile antico, ormai superato. Le parole non aderivano così spontaneamente alle linee melodiche, e i cantori — che avevano il compito di adattare il testo — faticavano non poco a farlo combaciare con la musica: venti e più anni di musica di Morales, di Guerrero, e sua, di Palestrina, li avevano abituati a un rapporto cordiale, facile, intuitivo fra le note e le parole, che non venivano scritte sotto il rigo musicale, ma richiamate all’inizio e poi arrangiate…
Rivederla, come si faceva in questi casi? Correggerla, adattandola al nuovo stile, a quella prassi che prendeva ormai il nome da lui, da Palestrina?
Chissà se sarebbe piaciuta a Filippo II di Spagna, abituato ormai a sentire la musica di Morales e di tutti quei compositori spagnoli formatisi a Roma assieme a lui, e coi quali condivideva lo stile. A Filippo dedicava questo suo terzo libro: aveva preparato una dedica ossequiosa… Va bene, non era ossequiosa: era servile.
Ma tutto, pur di riuscire a farsi assumere da qualcuno e andarsene via da quel mondo romano, che sarà anche stato il centro della cristianità, ma era provinciale più di tante altre città italiane — figuriamoci di Madrid.
Ma correggere cosa? A lui piaceva così. Gli ricordava gli anni in cui il mondo gli sembrava ai suoi piedi, in cui ascoltava estatico le messe dei fiamminghi, sperava di diventare grande come Josquin, che se n’era andato da poco lasciando un ricordo immenso del suo talento. E lui sentiva di non averne di meno, di talento.
L’avrebbe lasciata così, la messa: con le sue asprezze, i suoi arcaismi, ma sua — di Giovanni Pierluigi da Palestrina — che, vivaddio, non aveva bisogno di nessuno per guadagnarsi da vivere e mantenere la famiglia.
La luna si specchiava nel Tevere.
Si vedevano le case, i palazzi, le grandi chiese, la mole di Castel Sant’Angelo, l’eterno cantiere di San Pietro…
Forse non valeva la pena di andarsene verso ambienti che magari, visti da vicino, non erano poi così splendidi. Almeno l’avessero compensato adeguatamente: se doveva sopportare la fatica di un trasloco, che almeno lo pagassero bene.
E invece con l’ambasciatore dell’Asburgo si stava a discutere di ogni ducato, di ogni scudo, di ogni spicciolo.
Mentre camminava verso casa, segnò mentalmente gli impegni per l’indomani:
inviare anticipatamente la dedica al re Filippo;
scrivere all’austriaco con un’ultima offerta, prendere o lasciare;
passare alla tipografia di Dorico per confermare la stampa del Terzo Libro delle Messe.
Sandro Bergamo
BIGLIETTI
I biglietti si possono acquistare la sera stessa del concerto presso Palazzo Scopoli (per motivi tecnici non sarà possibile pagare con bancomat o carta di credito).
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Tel. 340 1571761